giovedì 29 maggio 2014

TERRA DEI FUOCHI, LETTERA DI PADRE MAURIZIO PATRICIELLO

Ho scritto una email a Padre Maurizio Patriciello, parroco "anticamorra" nel quartiere Parco Verde in Caivano (NA) che da mesi lotta in prima linea nella battaglia sulla "Terra dei fuochi" in Campania. Molti di voi lo conosceranno per via della sua presenza in diverse trasmissioni tv sul tema. E' autore di due libri: "Vangelo dalla terra dei fuochi" (2013) e "Non aspettiamo l'apocalisse" (2014). 
Gli ho chiesto una sua testimonanzia per capire meglio quello che sta succedendo in quelle terre non troppo lontane dalle nostre. E forse non meno inquinate delle nostre. 
Mi ha risposto, e di questo lo ringrazio, inviandomi un articolo da lui scritto per Il Mattino di Napoli nel giugno 2013. Se tutti i preti fossero cosi...

LA MIA TERRA VIOLENTATA
Mi sento stordito e incredulo come un padre cui hanno violentato il figlio sotto i suoi occhi senza che se ne accorgesse. E non si dà pace. E vorrebbe rimediare. Riparare allo scempio delle belle, fertili terre campane, oggi avvelenate. Stupidamente. Vigliaccamente. Dio non voglia, irrimediabilmente. La brama di potere e di denaro ha ammaliato i cuori di tanti insospettabili fino a renderli insensibili. “I soldi comandano”, disse papa Francesco in occasione della Giornata per l’ambiente. E se a comandare sono i soldi, le persone sono assimilabili alle cose. Si possono sfruttare, usare, rovinare. Condannare a morte. Merce di scambio. Carne da macello. Certo, perché la terra avvelenata, a sua volta, avvelena gli uomini. Senza riguardi. Senza distinzioni. In Campania – lo sanno tutti, anche se tanti continuano a fare i finti tonti – ci si ammala di cancro e di leucemia più che altrove. In particolare nelle zone a cavallo delle province di Napoli e Caserta, è in atto una vera “ecatombe”, come denunciarono l’anno scorso i sette vescovi della “terra dei fuochi”. Le mamme che accompagnano i figli al cimitero non si contano. Quante lacrime. Quanta rabbia. Quanta sofferenza. I giovani volontari del “Coordinamento comitati fuochi” stanno raccogliendo i loro nomi,le loro storie. Nulla deve andare perduto di questa sciagura sciagurata che passerà alla storia e che la storia non perdonerà alla nostra generazione. Rifiuti. Monnezza. Per anni ci hanno detto – ed io, prete, ho sempre pensato che mi dicessero il vero – che il problema erano i rifiuti urbani. Cioè la monnezza della nonna. Le bucce di banane e i gusci d’uovo. La colpa, quindi, era tutta dei campani brutti, sporchi e cattivi. Cittadini rimasti all’età della pietra,incapaci di mettersi al passo con la civiltà moderna. E noi credemmo a questa menzogna inventata a tavolino. Ed io, prete, dall’Altare - novello Savonarola - redarguivo i malcapitati parrocchiani: “Non si buttano le carte per terra… Non si abbandona il sacchetto per la strada…”. Ma per quanta buona volontà ci mettesse la povera gente, nel separare la carta dalla plastica e dal vetro, le cose peggioravano sempre di più. Un fetore nauseabondo, stomachevole, amaro come il fiele, invadeva i nostri paesi e le nostre case a tutte le ore del giorno e della notte. Occorreva chiudere le finestre anche d’estate. E quel fumo, nero come pece, che si sprigiona da mille e mille roghi, che ruba il respiro e fa bruciare gli occhi? Ma che cosa succedeva? Che cosa bruciava nelle campagne? E perché? A chi il povero cittadino poteva rivolgersi per avere spiegazioni? Naturalmente, nessuno sapeva niente. Le amministrazioni locali, lamentando scarsità di fondi e di personale, rimandavano a quelle regionali e nazionali,che a loro volta rilanciavano il barile alla cantina del paese. La cruda verità, che gli addetti ai lavori da sempre conoscevano, divenne finalmente di pubblico dominio. Grazie a persone oneste,illuminate, disinteressate, amanti della loro terra e della vita, capimmo che non erano affatto “ urbani” quei rifiuti che bruciavano a tutte le ore rendendo un inferno la vita di centinaia di migliaia di persone, ma monnezze industriali altamente tossiche e nocive. Dai pentiti di camorra venimmo a sapere che dal nord, alcune grandi industrie, con la complicità della camorra e di amministratori incapaci o collusi, hanno interrato di tutto nelle nostre campagne. Ma a bruciare sono anche milioni di tonnellate di pneumatici, ritagli di pellami e di stoffe – le famose pezze –, intrise di colle, solventi, diluenti. Le tante fabbriche nostrane che producono in nero, in regime di evasione fiscale, per forza debbono poi smaltire in nero i rifiuti. In nero, cioè, rovinando e uccidendo la vita di tanti innocenti. Adesso tacciono. Si capisce. Chi in questo modo criminale si è arricchito, come fa a parlare? Come potrebbe denunciare chi ha chiuso un occhio e spesse volte due? La parola d’ordine era: tacere. Intorbidire le acque e accusare di allarmismo i poveri volontari e qualche amministratore onesto. Ecco la cruda verità sulla “terra dei fuochi”, fascia di territorio a nord di Napoli e sud di Caserta, con più di due milioni di abitanti, cui sono stati rapinati i diritti più elementari. A chi lo avesse dimenticato ricordo solo che la Campania è ancora una regione della civile Italia e rientra a pieno titolo nella civilissima Europa. 
Padre Maurizio PATRICIELLO

       

martedì 27 maggio 2014

PAESE CHE VAI DROGHE CHE TROVI



Monitoraggio del consumo delle droghe d'abuso in Europa mediante analisi dei reflui urbani
Monitoraggio del consumo delle droghe d'abuso in Europa mediante analisi dei reflui urbani - See more at: http://www.marionegri.it/mn/it/aggiornamento/focusOn/index.html#articolo
Monitoraggio del consumo delle droghe d'abuso in Europa mediante analisi dei reflui urbani - See more at: http://www.marionegri.it/mn/it/aggiornamento/focusOn/index.html#articolo

I risultati del più esteso monitoraggio del consumo di droghe d’abuso mai effettuato prima in Europa (rilevazioni in 42 città di 21 Paesi europei), analizzando i reflui urbani, sono stati pubblicati oggi, 27 maggio 2014, sulla rivista Addiction e sono riportati nel rapporto annuale 2014 dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA) che viene presentato oggi a Lisbona. 
Il monitoraggio è stato effettuato dall’Istituto Mario Negri di Milano.
Il metodo utilizzato si basa sulla semplice assunzione che ogni sostanza ingerita venga metabolizzata, totalmente o parzialmente, nell’organismo ed escretata come tale o come miscela di metaboliti con le urine. Le acque reflue che entrano in un depuratore cittadino dopo aver raccolto l’insieme dei reflui urbani contengono quindi miscele complesse di tutte le sostanze lecite o illecite ingerite dalla popolazione afferente all’impianto stesso. Misurando i residui metabolici delle principali droghe d’abuso nelle acque reflue urbane si può pertanto stimare il consumo di queste sostanze nella popolazione.
Le numerose applicazioni disponibili hanno dimostrato che questo metodo è in grado di fornire regolarmente dati oggettivi più aggiornati rispetto alle indagini epidemiologiche effettuate a livello nazionale a cadenza annuale o biennale, ed è pertanto considerato dall’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA) come metodo complementare ad altre tecniche di monitoraggio utilizzate in Europa, soprattutto per rilevare rapidamente i consumi a livello locale, eventuali cambiamenti nei profili di consumo (localmente e a livello nazionale) o la comparsa di nuove sostanze psicoattive.
Una rete di gruppi di ricerca europei (SCORE network) nata nel 2010 sotto la guida dell’ Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e dell’Istituto Norvegese per la Ricerca sulle Acque (NIVA) ha effettuato le analisi dei reflui urbani di 42 città europee per stimare il consumo delle principali droghe d’abuso nella popolazione. Lo studio è stato condotto prelevando campioni di acque reflue simultaneamente per sette giorni consecutivi nell’Aprile 2012 in 23 città (11 paesi) e nel Marzo 2013 in 42 città (21 paesi) che sono: Bosnia Erzegovina, Belgio, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Finlandia, Gran Bretagna, Grecia, Croazia, Italia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Romania, Serbia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera I risultati sono poi stati confrontati con i primi dati ottenuti in 19 città (11 paesi) nel 2011. In Italia la città inclusa nello studio è stata Milano.
Lo scopo della ricerca era applicare un protocollo comune per valutare le variazioni geografiche e temporali dei consumi di droghe d’abuso mediante campagne di monitoraggio consecutive (2011-2013) che includessero molteplici paesi in tutto il territorio Europeo. Nei reflui urbani raccolti sono state analizzate tracce di cinque delle principali droghe d’abuso: cocaina, cannabis, amfetamina, ecstasy e metamfetamina.
I risultati ottenuti hanno evidenziato la presenza di sostanziali differenze di utilizzo delle varie droghe d’abuso nei paesi analizzati con interessanti trend temporali.
I consumi di cocaina sono risultati più elevati nei paesi dell’Europa occidentale e del Sud (Spagna, Svizzera, Inghilterra, Belgio, Olanda) rispetto ai Paesi dell’est (Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia) e alla penisola Scandinava. Milano presenta consumi “medi”, simili a Parigi e Copenhagen, inferiori a Zurigo, Anversa, Londra e Barcellona.
I consumi di amfetamina e metamfetamina, sebbene distribuiti in quasi tutti i Paesi analizzati, sono risultati più elevati nella penisola scandinava e in alcuni paesi dell’ est Europa (Repubblica Ceca, Slovacchia e Germania dell’est). A Milano i consumi di queste sostanze sono bassi e in netto calo dal 2011 al 2012.
I consumi più elevati di cannabis sono stati riscontrati in Olanda, Francia, e Serbia, seguite da Grecia, Spagna e Belgio. – In confronto i consumi di cannabis a Milano risultano piuttosto contenuti.
Cocaina ed ecstasy si confermano droghe “ricreazionali”, con consumi maggiori nel weekend rispetto agli altri giorni della settimana. I consumi di cannabis e metamfetamina risultano invece costanti durante la settimana.
L’Istituto Mario Negri di Milano, in collaborazione con il “Dipartimento per le Politiche Antidroga” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha inoltre attivato un network italiano di 17 città per il monitoraggio delle acque reflue che consente di seguire i profili di consumo delle principali droghe d’abuso a livello nazionale. I risultati di questo studio saranno riportati nella prossima Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia.

Articolo tratto dal sito www.marionegri.it

domenica 25 maggio 2014

RISULTATI SONDAGGIO


Si è chiuso il non-sondaggio del Bar della Bardella sulle elezioni regionali in Abruzzo. I voti sono stati 61 e per poco l'ha spuntata LUCIANO D'ALFONSO (csx) dopo un testa a testa con SARA MARCOZZI (M5S). Sono curioso ora di scoprire quanto le percentuali reali si discosteranno da queste fantasiose consultazioni !
  • LUCIANO D'ALFONSO    34% 
  • SARA MARCOZZI             31%
  • GIANNI CHIODI               25%
  • MAURIZIO ACERBO        10%






venerdì 23 maggio 2014

GIOVANNI FALCONE UN ITALIANO SCOMODO


Pubblico degli stralci di una intervista de La Repubblica ad ILDA BOCCASSINI, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano, su Giovanni Falcone e i lati oscuri che avvolgono le celebrazioni che ogni anno se ne fanno. L'intervista è del 2002. 

MILANO - Dottoressa Boccassini, oggi al ministero della Giustizia sarà scoperta una targa in memoria di Giovanni Falcone, a dieci anni dalla morte. E' la prima volta che un magistrato ha quest'onore anche se è vero che solo Giovanni Falcone, direttore degli Affari Penali in quella primavera del 1992, è morto ammazzato quando era al vertice del ministero di Giustizia. "Non è del tutto vero, Girolamo Minervini quando fu ucciso, il 18 marzo del 1980, si preparava a diventare direttore dell'amministrazione penitenziaria: dunque, un alto dirigente del ministero".
E allora? 
"Dal 1971 ad oggi, se non sbaglio, sono stati uccisi in Italia ventiquattro magistrati. Mi chiedo perché soltanto per Giovanni Falcone, anno dopo anno, tanti onori, celebrazioni, accensioni polemiche". Credo che la ragione vada rintracciata nell'ipocrisia del Paese, nel senso di colpa della magistratura, nella cattiva coscienza della politica. Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. E' soltanto il più macroscopico paradosso della vita e della morte di Giovanni Falcone: la sua breve esistenza, come oggi la sua memoria, è stata sempre schiacciata dal paradosso, a ben vedere. Ce ne sono di clamorosi... Non c'è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. E' stato sempre "trombatissimo". Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato ucciso. Dieci anni fa, per dar conto delle sue sconfitte, Mario Pirani dovette ricorrere a un personaggio letterario, l'Aureliano Buendìa di Cent'anni di solitudine che dette trentadue battaglie e le perdette tutte: ancora oggi, non c'è similitudine migliore. Eppure, nonostante le ripetute "trombature", ogni anno si celebra l'esistenza di Giovanni come fosse stata premiata da pubblici riconoscimenti o apprezzata nella sua eccellenza. Un altro paradosso. Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito. Non voglio risse né polemiche. Voglio ricordare, ragionare e capire perché - credo - così si rispetta il sacrificio di questo strano tipo di italiano, grande e scomodo, che è stato Giovanni. Voglio ricordare che la magistratura italiana addirittura scioperò contro Falcone nel 1991. Scioperò contro la legge che creava la Procura nazionale antimafia a lui destinata. Per bloccarne la candidatura, ricordo, un togato del Csm, Gianfranco Viglietta, di Magistratura democratica, esaltò in una lettera al presidente Cossiga l' "assoluta indipendenza" dell'antagonista di Falcone, Agostino Cordova, osservando che "i criteri per la nomina a importantissimi incarichi direttivi non prevedono notorietà o popolarità". Dunque, Falcone non era indipendente, ma solo "popolare" per Viglietta. Più esplicito in quell'accusa fu Alfonso Amatucci, anch'egli togato al Csm, per la corrente dei Verdi (cui pure Falcone aderiva). Scrisse al Sole-24 ore che Giovanni "in caso di designazione, avrebbe fatto bene ad apparire libero da ogni vincolo di gratitudine politica". Falcone era più o meno un "venduto" per Amatucci. Ancora un ricordo. Leoluca Orlando Cascio, nel 1990, sostenne e non fu il solo, soprattutto nella sinistra - che "dentro i cassetti della procura di Palermo ce n'è abbastanza per fare giustizia sui delitti politici". Quei cassetti, dove si insabbiava la verità sulla morte di Mattarella, La Torre, Insalaco, Bonsignore, erano di Falcone. Ritorna l'accusa di Amatucci e Viglietta: Falcone è un "venduto". Delle due l'una, allora. O quelle accuse erano fondate e allora non si beatifichi come eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza o quelle accuse erano, come sono, calunnie e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda. In dieci anni, non ho ancora ascoltato una sola autocritica nella magistratura e nella politica. Fin quando ciò non accadrà, io sentirò il dovere di ricordare. Perché solo ricordare le umiliazioni subite da Giovanni Falcone permette di comprendere il significato del suo sacrificio, il suo indistruttibile senso del dovere e delle istituzioni; di afferrare l'eccentricità "rivoluzionaria" del suo riformismo rispetto a un modo di essere magistrato in Italia o a fronte dell'idea subalterna della funzione giudiziaria coltivata dalla politica. Era questa sua diversità a renderlo inviso a una parte della magistratura e a rendergli diffidente e nemica la politica, tutta la politica, se si esclude la parentesi al ministero dove gli fu possibile sperimentare qualche sua innovativa idea".
Qual era, secondo lei, la "diversità" di Falcone?  
"Una parte della magistratura italiana è stata sempre "sensibile" agli interessi della politica e la politica ha sempre desiderato la magistratura "sensibile" alla ragion di Stato, agli equilibri di governo, alla difesa dello status quo, alle convenienze dei più forti. Era vero venti anni fa quando i procuratori generali mai pronunciavano la parola "mafia" nei discorsi inaugurali dell'anno giudiziario, è vero oggi. Anche ora alcuni magistrati tra i migliori della nostra Repubblica, conservatori o riformisti che siano, sono attenti al gioco e agli interessi della politica. Magari questa attenzione è meno esplicita, più laterale e mediata, diciamo più scolorita e indiretta, ma è ancora presente. Bene, Giovanni Falcone è stato sempre sensibile soltanto all'indipendenza e all'autonomia della sua funzione: erano, per lui, valori ineliminabili. Non equivalevano a un privilegio di casta, come appare ad alcuni miei colleghi, né un riconoscimento che declina una sostanziale irresponsabilità, come credono altri. Al contrario, pensava che autonomia e indipendenza fossero le gravose responsabilità che la Costituzione ha affidato al magistrato per garantire l'imparzialità del giudizio, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'efficienza della macchina giudiziaria. Giovanni sentiva l'indipendenza del magistrato come missione e risorsa; come il segno stesso, costitutivo, della sua identità di servitore dello Stato. Chiunque lo abbia incontrato, magistrato o politico che fosse, ha avvertito questa sua ostinazione, e la sua ostinazione lo ha reso "straniero" tra i magistrati "sensibili" e tra i politici innamorati dei magistrati "sensibili": così è diventato un "corpo estraneo" da bocciare, distruggere, calunniare. E' questa la ragione di fondo per cui non mi stancherò mai di chiedere alla magistratura una severa autocritica. Solo facendo i conti con la storia di Giovanni Falcone, la magistratura potrà trovare la forza e le ragioni per fronteggiare chi oggi vuole manipolare, con l'ordinamento giudiziario, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura anche strumentalizzando le riflessioni di Giovanni".

lunedì 19 maggio 2014

ORAZIONE IN CONTUMACIA

di GIANLUCA DI RENZO

Pubblico un articolo molto interessante scritto nel Novembre 2013 da Gianluca Di Renzo  (http://cronacheortonesi.blogspot.it/). Lo ritengo un ottimo spunto di riflessione, provocatorio e realistico al tempo stesso, su quello che sarà o potrebbe diventare Ortona nel futuro. O semplicemente, su quello che non potrà mai essere.  

Amici, compagni,
sapete bene quale possa essere la mia ritrosia nel parlare in pubblico, non sono un buon oratore. Con la penna me la cavo meglio. Mi è stato chiesto un intervento. Sarà il compagno Enzo a leggerlo in mia vece.  Chi vi scrive, ha vissuto con interesse e passione le vicissitudini degli ultimi trent’anni di vita politica ortonese. Ho creduto in questi anni, alla costruzione di un futuro per me e la mia famiglia ad Ortona. Dopo alcune battaglie perse insieme a mio padre, dal punto di vista lavorativo, scontrandomi con la superficialità, la furbizia, la disonestà, di una larga fetta del mondo imprenditoriale locale. Ho tentato, di ricominciare, prendendomi sulle spalle la responsabilità di un’impresa artigianale. Provenendo da una famiglia di impiegati statali, con il cuore a sinistra, ho vissuto le contraddizioni che questa condizione può comportare. Gli inizi sembravano carichi di promesse e speranze. Oggi sto atterrando in modo traumatico, dal volo che avevo iniziato con tanto entusiasmo. E’ vero, non sono un uomo libero. Le difficoltà economiche mi soffocano, ma ho ancora la libertà di dire quello che penso e sento, senza paura di farmi  dei nemici, anche fra di voi. Quello che vedo, in questa città, è l’impossibilità di scorgere la realtà oltre il proprio naso. Ortona non è una città a vocazione turistica. Non potrà esserlo mai. Forse lo è stata fino agli inizi degli anni ‘70, prima del Piano Regolatore, che ha variato gli assetti commerciali del nostro paese. Ma questo non basta ad affermare la mia convinzione. Ortona non è una città turistica perché non esiste una cultura dell’accoglienza e della ricettività. Chi volesse controbattere alla mia affermazione, potrà essere smentito dalle vicende relative al G8 de L’Aquila nel 2009 quando, numerosi furono gli stranieri i quali usufruirono del nostro scalo per gli incontri diplomatici. La città fu impreparata ad accogliere quanti avrebbero potuto portare benefici economici alla nostra dissanguata economia. Ci fu incapacità organizzativa, ignavia, mancanza di idee, assenza delle istituzioni. Il fallimento nel cogliere questa opportunità, fu il peggiore di una serie di fallimenti: ricordiamo i traghetti per Spalato, gli aliscafi per le Tremiti, le associazioni di commercianti in perenne battaglia, la decisione “politica” di avere un Ipermercato, la chiusura decennale del Palazzo Farnese, lo sventramento urbanistico del centro cittadino in favore dei palazzinari, la chiusura del cinema, gli orari improbabili dei pochi musei cittadini, lo smantellamento dell’Istituto tostiano, la totale inconsapevolezza da parte dei cittadini di avere l’Enoteca Regionale, il disarmo delle festività del Perdono sostituite da sagre tunisino-cinesi, la distruzione del Parco Ciavocco in favore di un inutile parcheggio, la quasi totale chiusura dell’Ospedale, la desertificazione dell’area industriale, la scomparsa del cinema, la gestione fumosa di via Cervana e del molo nord, il totale disfacimento del vecchio tracciato ferroviario, la cementificazione cubista dei quartieri più vivibili. Termino con il capolavoro assoluto: il crollo dell’unico trabocco esistente nel comprensorio comunale. Amici, diciamo la verità, fino alla fine degli anni ’90, quando un gruppo di lavoro di architetti, si interessò di loro, a nessun ortonese fregava niente dei trabocchi. Andavamo su queste spiaggette per i picnic, per mettere due tette all’aria e pescare qualche peloso illegalmente. Così abbiamo lasciato sfuggire questa occasione, colta al volo da San Vito in giù. Ora mi chiedo, siete pronti a far cambiare testa ed intenzione agli ortonesi nel giro di qualche anno e trasformare Ortona in una piccola Monte Carlo oppure nella messapica costa salentina? Siete pronti a dire ai disoccupati ortonesi di pazientare in attesa di queste rivoluzioni pacifiche, invitandoli ad aspettare qualche anno, considerando che le bollette e la spesa si pagano QUASI OGNI GIORNO? Siete pronti ad imporre ai contadini, ulteriori vincoli ad un’agricoltura che oggi è di pura sussistenza? E’ un discorso che non vi farà piacere, ma vi chiedo di guardare oltre i vostri sogni: cerchiamo di sfruttare la nuova occasione che si sta offrendo al paese con i nuovi appalti ricevuti dalle imprese portuali e marittime. Potenziamo le infrastrutture che collegano il nostro scalo alla rete viaria, creiamo delle aree per lo stazionamento dei container, invogliamo l’attracco delle imbarcazioni da diporto, incentiviamo i giovani a seguire percorsi di studio inerenti discipline marittime, teniamoci stretto il Nautico, regolamentiamo l’attracco di pescherecci da altre regioni, evitando il saccheggio del nostro mare in cambio di nessun beneficio economico, rivalutiamo il mercato ittico. Soprattutto: non facciamoci dire come dobbiamo vivere o morire da persone che hanno la propria vita, il proprio reddito altrove, che non rischiano di farsi staccare la corrente perché non hanno lavoro. Solo così avremo la possibilità di essere sereni per iniziare un cammino di trasformazione della nostra città. 
Adesso: mirate dritto al cuore, non voglio la benda sugli occhi.

giovedì 15 maggio 2014

BANDIERA BUUH

di SAUL MONTEBRUNO
E' di qualche giorno fa la notizia che Ortona non ha confermato, per il 2014, la bandiera blu e come sempre, sulle questioni poco serie, i cittadini si strappano le vesti.
Si, la questione per me è davvero poco seria. Anzi, diro di più: menomale che non l'abbiamo ripresa e di questo ne sono davvero felice.
 Non sono certo io a dovervi spiegare come vengono assegnati questi riconoscimenti ( li trovate in maniera dettagliata su www.bandierablu.org), basterà qui ricordare che la FEE, titolare dell'attribuzione delle bandiere blu, non è una società pubblica ma una fondazione e che tra i principali criteri seguiti dalla stessa ci sono: qualità delle acque marine, depurazione delle acque refluee, gestione dei rifiuti, servizi e sicurezza sulle spiagge.
Ma non è tutto. Pur rispettando alla lettera i requisiti richiesti, è necessario un quid pluris di non poco conto per ottenere la bandiera blu: bisogna pagare una cifra che varia dai 10.000 ai 15.000 euro. SIC!
Sostanzialmente si tratta di comparare, e solo per un anno, il riconoscimento. Questo è per me il primo elemento di non serietà. I requisiti "tecnici" sopra citati passano in secondo piano. Prima pagare moneta, poi vedere cammello.
Ma quandanche il sindaco (o chi per lui) avesse comprato, per l'ennesimo anno, la bandiera blu, siamo sicuri che la nostra qualità della vita sarebbe migliorata?
A chi crede che la bandiera blu sia uno strumento di richiamo turistico desidero rivolgere alcune semplici domande. 
1) Cosa ce ne facciamo di una bandiera blu se siamo il Comune che “ospita” sul suo territorio il fiume Moro, Saraceni e Arielli, i più inquinati d’Abruzzo ?
2) Cosa ce ne facciamo della bandiera se per larghi tratti il nostro mare è interdetto alla balneazione proprio per la pessima qualità delle acque?
3) Cosa ce ne facciamo di questa bandiera se abbiamo un porto commerciale che opera prevalentemente con il petrolio?
4) Cosa ce ne facciamo della bandiera se in almeno la metà delle contrade ci sono discariche abusive a cielo aperto? Stessa discorso vale per le spiagge libere.
5) Cosa ce ne facciamo della bandiera blu se sul nostro territorio abbiamo rispettivamente la più grande discarica d’amianto della Regione e la centrale Turbogas?
6) Cosa ce ne facciamo della bandiera blu se non siamo in grado di accogliere degnamente i turisti che vengono da noi?
7) Cosa diremo ai turisti quando scopriranno che abbiamo sì la bandiera blu ma non siamo stati in grado di preservare il nostro unico ed ultimo trabocco?
Di domande come queste e di problemi come quelli elencati ce ne sono ancora a bizzeffe. Ma nonostante tutto c’è chi preferisce pagare (e ahimè sono la maggioranza) per avere un falso riconoscimento piuttosto che destinare quei soldi alla bonifica del territorio o al ripristino di qualche depuratore.
Vogliamo apparire belli agli occhi del mondo senza guardarci allo specchio. Siamo come una macchina lucente ma vecchia e piena di merda all’interno. Quel che importa è apparire belli. Viaggeremo sicuri finché il motore non si ingolferà, poi saremo costretti ad aprire la porta e scendere. E non ripartiremo più.
Per fortuna che quest'anno non sarà cosi. Non mi illudo certo che i tanti problemi verranno risolti, ma almeno abbiamo risparmiato un pò di soldi.
Discarica di amianto
Foce del fiume MORO

lunedì 12 maggio 2014

SONDAGGIO SULLE ELEZIONI REGIONALI IN ABRUZZO

E' stato inserito nel blog un sondaggio su chi sarà il prossimo Presidente della Regione Abruzzo. Potete partecipare votando il vostro preferito fino a sabato 24 maggio 2014.
Il sondaggio non ha nessun valore legale o politico. Ha solo un valore indicativo tra i lettori del blog.
Certamente ci sono limiti evidenti ma, come detto, non avendo nessun valore statistico, se dovessero esserci dei furbetti beh... contenti loro, contenti tutti. Vorrà dire che non stanno messi poi cosi bene.



 

sabato 10 maggio 2014

LA SPENDING REVIEW ORTONESE

Punto! Due punti! ... ma sì, fai vedere che abbondiamo... Abbondandis in abbondandum...
Sicuramente avrete presente la scena di Totò e Peppino intenti a scrivere la famosa lettera nel film Totò, Peppino e ... la malafemmina!
Sicuramente ce l'avrà bene in mente il consigliere comunale Luigi Menicucci che, dopo essere stato incaricato nel Gennaio scorso dal sindaco a compiere il "monitoraggio e revisione di spesa" (nell'ottica di una generale spending review), ha relazionato con una lettera degna del miglior Peppino.

Se è vero che l'abito non fa il monaco e la sostanza spesso conta più della forma, ciò non significa che una relazione così importante per la comunità possa essere scritta in quel modo. Vabbè...andiamo al nocciolo della questione. 
In un attacco di "virgolite" acuta, il consigliere Menicucci ha letteralmente sconfessato l'operato dell'amministrazione d'Ottavio sollevando critiche, alcune davvero gravi, circa la gestione economica dell'Ente.
 Dall'analisi ne esce una gestione opaca del bene comune che grida vendetta alla trasparenza tanto sbandierata in campagna elettorale: affidamenti diretti ad imprese "amiche" anzichè gare pubbliche d'appalto, clientelismi senza freni nella gestione dei lavoratori interinali, dei contributi alle associazioni e degli incarichi legali e professionali nonché, in generale, una scarsa attenzione alle spese correnti quali manutenzione degli impianti di illuminazione, di riscaldamento e di pulizia. 

L'epitaffio di Menicucci rappresenta l'ennesima certificazione (la cosa grave è che proviene dagli stessi banchi della maggioranza) del fallimento di d'Ottavio a soli due anni dall'insediamento. 

Quanto ancora dovremo aspettare perchè si stacchi la spina? Solo Tommaso Coletti potrà togliere la città da questo impiccio. Ammesso che abbia ancora la forza di farlo. 

N.B. Di fianco al post ho inserito la RELAZIONE INTEGRALE. Per chi volesse leggerla basta cliccarci sopra.





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