di GIORGIA MESCHINI
Nella mia carriera scolastica sono sempre stata
molto fortunata. Ho avuto ottimi insegnanti, dalle elementari fino all’ultimo anno delle superiori. A mia volta sono stata
una buona alunna. Sono entrata nel mondo universitario forte di un buon metodo
di studio e della convinzione che quello che facevo fosse la cosa più giusta per me. Dopo anni dai giorni da matricola mi capita ancora
di pensare che la mia formazione sia stata un susseguirsi di fatidici errori. Il primo errore è
stato iscrivermi a un liceo. Una sede che apriva proprio nell’anno della mia iscrizione: ora sono passati 10 anni
da allora e il Liceo Scientifico Alessandro Volta ad Ortona è una realtà che
studenti e insegnanti tengono viva e sempre in crescita (mi auguro!). Il liceo mi ha insegnato cose bellissime, dall’artisticità dell’accostamento dei colori in un quadro alla
composizione delle rocce, dalla pregnanza di significato di una sola immagine
poetica all’incantevole matematica
dietro la fisica della natura. Molte cose le ho dimenticate, lo ammetto. Altre
sono rimaste in me indelebili come una certa pratica di stoicismo nei giorni più duri dell’anno
accademico, altre non le ho mai imparate o capite, come la data della
Rivoluzione Francese (o qualsiasi altra data) e come gli usi e i costumi nell’Elizabethan Era. Il secondo errore è stato iscrivermi all’università. Ma
cos’altro potevo fare? Non
sapevo fare null’altro se non studiare.
Certamente la situazione è diversa all'università e non si tratta solo di orari e quantità di argomenti da apprendere.
La vera rivoluzione nel passare dalla scuola all’università è stata poter scegliere COSA studiare. Ci sono
servizi scolastici nel mondo in cui i corsi sono a scelta già a partire dalle medie. Noi invece optiamo per uno
dei tanti istituti superiori e in quell’unica
azione, alla tenera età di 14 anni, ci portiamo a
casa il pacchetto completo: un impegno per 5 anni e vincoli inespressi sul futuro. Altra rivoluzione è stata qualche anno dopo(!), quando per la prima
volta sono entrata in un laboratorio e ho visto davvero ciò di cui parlavano i libri su cui avevo speso tanti
anni. Non avevamo laboratori alle scuole medie né al liceo. Nonostante gli aspetti che apprezzo di questa realtà, mi chiedo dove sarei adesso se quel lontano giorno
in cui scelsi lo Scientifico avessi preso una strada diversa. Forse lavorerei
già. Forse avrei fatto meno
fatica a imparare tante cose che miei colleghi provenienti da istituti tecnici
sanno già fare oppure avrei capito al
volo riferimenti nascosti ovunque ad opere classiche. Ciò che più rimprovero alla scuola (e ci metto dentro anche
parte delle università) è l’approccio estremamente
teorico e intellettuale. La conoscenza fine a se stessa, il sapere al fine del
sapere. Posso anche sentirmi personalmente arricchita, ma qual è l’utilità di tale ricchezza personale? La nostra scuola ci insegna cose meravigliose, ma di
scarso riscontro pratico. Ci insegna a studiare ed è forse per questo che in Italia ci sono tanti
laureati e pochi occupati.
In
conclusione,
non so se sarò anch’io uno di quei laureati disoccupati e incapaci di
fare
alcunché. E non so se la motivazione di un tale probabile scenario possa
essere
l’essermi dedicata troppo ai libri e poco a cercare l’occasione di
toccare con
mano ciò che mi interessava. Quel che so è che avrei voluto imparare più
cose
sperimentandole, perché studiare è diverso dal conoscere. Un mio
professore universitario ha detto una volta, forse citando
qualcun’altro: “la cultura è
ciò che resta quando ci si è dimenticati tutto”. Bè, io credo che lo stupore
dell’esperienza sia maestra molto migliore di milioni di parole perché lascia
segni difficili da cancellare.